POLITICAMENTE SCORRETTA//SCORRETTA no.5 CON UNA POLITICA

Vi do il mio calorosissimo benvenuto a scorretta: un podcast in cui parlo di sesso, punk, politica, cose che succedono e cose che non succedono ma che dovrebbero succedere. Oggi guardiamo al presente ma soprattutto al futuro con delle proposte nuove e delle idee per la nostra politica. Infatti adempiremo al vero e proprio nome di questo podcast con un  episodio chiamato: “Politicamente scorretta”. 

Partiamo con delle piccole premesse: spero sia chiaro che mi piacciono molto. In quest’episodio sembreremo molto eteronormative: parleremo di donne e di uomini in politica escludendo altri tipi di identificazione di genere perché purtroppo il mondo politico in cui agiamo è fatto così. Con questo non vogliamo dire che crediamo che il mondo in cui viviamo non sia un mondo più fluido, in cui una persona possa avere delle contrazioni fisiche che non corrispondono alla sua personale identità di genere, ma purtroppo perchè nel mondo politico italiano in cui agiamo le cose stanno così.

Vi faccio un piccolo esempio: la legge 165/2004 regola le quote rosa nei consigli regionali e comunali. Questa legge ha una connotazione positiva, infatti prevede che ci sia una minoranza di quote elettorali riservate ad un preciso sesso; il sottotitolo segue dicendo “disposizioni volta garantire l’equilibrio di rappresentanza tra donne e uomini nei consigli regionali”. Nonostante nel testo della legge si faccia riferimento soltanto a due stessi, senza specificare quali essi siano, vediamo che nel sottotitolo avviene  una presa di posizione esprimendo il fatto che esistono soltanto due sessi escludendo altri tipi di identificazione di genere. 

Partiamo quindi con dei dati che ormai do sempre: attualmente circa il 36% dei posti in parlamento sono occupati da donne, invece nelle Amministrazioni comunali i posti occupati da donne e sono il 33%. Dal 2006 invece vediamo i primi stranieri entrare in parlamento, per quanto riguarda la comunità Queer possiamo contare i deputati o i presidenti di regione sulle dita d’una mano, quindi vediamo che il nostro panorama politico è dominato principalmente da maschi etero. Sebbene ci siano state alcune figure femminili di rilevanza come la Boldrini o la Casellati (rispettivamente presidentesse di camera e senato), non possiamo di certo dire che abbiamo una grande rappresentanza di donne.

L’ispirazione che ho avuto per questo episodio nasce dalla mia ossessione per il tono di voce. Mi spiego meglio: mi sono sempre sentita di avere un tono piuttosto basso come donna, mi ricordo quando cantavo nel coro della chiesa, mi seccava molto che fossi l’unica non in grado di raggiungere le note alte. Spesso mi prendono in giro perché se incontro una persona con la quale non ho molta confidenza, alzo molto il tono di voce perché inconsciamente cerco di suonare di più come una donna, o meglio come una donna “dovrebbe” suonare. Mi sono poi appassionata molto a questo argomento anche grazie alla corsa elettorale di Hillary Clinton. C’è una sorta di amore odio per la sua voce la sua voce e per il suo accento che durante gli anni sono cambiati molto. Da una voce iniziale quando era semplicemente “first lady” più dolce, più del Sud e più pacata, fino a diventare una voce più aggressiva e più urlata negli ultimi anni nella corsa alle elezioni 2016. Ci sono diversi studi scientifici che dicono che percepiamo il tono di voce più basso come un tono più autoritario, e intendiamo questo suono in questo modo perché solitamente gli uomini  occupano posizioni autoritarie e lo lo hanno fatto per tantissimo tempo, quindi associamo il potere ha un tono di voce più basso.

Per la Clinton è sorto quindi il problema di come modulare la voce in quanto donna in politica, ma anche in qualsiasi campo professionale per suonare autoritaria, ma non aggressiva, piacevole, ma non troppo piacente, non troppo stupida. Questi sono tutti aggettivi che sono stati attribuiti al suo tono e accento, nonostante il suo tono di voce sia stato classificato nella media considerate le sue caratteristiche, ma non sono mai stati accostati a Bush Jr che spesso ha anche lui utilizzato espedienti simili per cambiare la voce seconda delle situazioni. Insomma il succo è che siamo così poco abituati a sentire la voce di una donna in arene politiche che quando parla sembra che ci stia urlando addosso. 

L’altro spunto che mi ha ispirato per questa puntata è in generale il dibattito mondiale: negli ultimi anni si è parlato molto spesso di figure femminili in politica, grazie a donne come Angela Merkel o la stessa Hillary oppure la grande Federica Mogherini o la discussa Marine Le Pen fino ad arrivare alle neo elette Alexandria Ocasio-Cortez e Kamala Harris. Questa presenza di donne ha (ri)acceso un dibattito sul ruolo della “politica dell’identità” ossia un sistema politico in cui la differenza di genere di etnia o di orientamento sessuale prevalgono su eventuali idee o programmi politici. Praticamente il succo è che Hillary mi dice “votami perché sono donna” e io la voto perché è donna, quindi la sua identità vale più delle sue idee. Questo è un discorso che avrebbe bisogno di un approfondimento maggiore, ma possiamo dire che non succede mai che solo perché una persona ha un’identità che mi va bene allora il mio voto va a questa persona. Certo però è vero che se vedo che c’è una donna in un partito a me affine per interessi e ho la possibilità di scrivere una preferenza, sarò più portata a scegliere quella persona.

Spesso vengono rimproverati gli omosessuali, immigrati, o donne di turno di “giocare a loro favore” la carta della loro identità e viene visto come un qualcosa di pesantemente scorretto. Mi sorge però spontanea una domanda dunque: chi è che guida le politiche a favore delle donne, gay o immigrati? Di solito le idee a favore di una minoranza sono portate avanti  da un rappresentante di questa minoranza, quindi una donna che dice  “votami perché sono donna” non è vincere facile, perché viviamo in un mondo in cui le differenze di genere non sono ancora state superate. Il mio genere gioca una parte così importante nella mia vita quotidiana e mi fa patire molti problemi e se decido di buttarmi in politica lo devo mettere da parte? O quando voto me ne dimentico? Non se ne parla. 

Di questo e di altro parliamo con la nostra ospite di oggi che è una mia carissima amica: Rachele, una donna che è stata attiva in politica fin dai tempi del liceo prima in varie associazioni studentesche e poi ha continuato il suo impegno in università. Dopo queste esperienze ha deciso di buttarsi in politica per le elezioni regionali del Veneto 2020 e molto fieramente ha raggiunto 4728 preferenze.

 Rachele vuoi raccontarci un attimo come hai deciso, una volta finita la tua carriera in associazioni studentesche, di intraprendere il grande passo verso la politica “vera”?

Sono sempre stata circondata da persone che fanno politica con piacere e passione ed è stato un passo un po’ preso all’improvviso, ma nel modo più tranquillo e collettivo possibile. Mi e ci siamo chiesti, in un Veneto dove la lega ha pieno consenso e sembra “invincibile” ormai da decenni, che cosa avessimo da perdere quindi ci siamo rimboccati le maniche e siamo scesi in campo per cercare di cambiare.

Diciamo che la campagna elettorale è fatta di tanta gente, di tanti banchetti e mercati in uno scenario un po’ diverso da quello della vita studentesca. Come è stata questa esperienza di affrontare un elettorato anche un po’ più vecchio e con delle idee un po’ diverse dalle tue?

Girare per tutta la provincia di Treviso, facendo almeno un banchetto al giorno mi ha messo a contatto con diverse persone: è stato molto utile a non chiudersi nella propria bolla, ma allo stesso tempo un po’ spaventoso. I mercati sono un ambiente molto più esposto ad attacchi macisti o complimenti/apprezzamenti, anche se dati in buona fede, del tutto sgradevoli.

Posso tentare di capire la difficoltà di dover rispondere a dei commenti fatti in buona fede, per esempio mio nonno che ti vede e sicuramente ti direbbe “Che bella ragazza” e mi immagino la voglia di rispondere male, ma anche la necessità di fare una “bella faccia”, ma una necessità che può portare a un confronto più produttivo.

Una cosa che ho dovuto affrontare, soprattutto nei primi banchetti, quando qualcuno mi faceva degli apprezzamenti, istintivamente mi sono trovata a rispondere “grazie”. Con molta angoscia mi sono anche chiesta come mai lo facessi, però allo stesso ero io la candidata e la persona su cui si misurerà il giudizio che gli altri hanno di te. Rispondere stizzita mi avrebbe fatto perdere consenso, ma allo stesso tempo voglio far capire a questi “profondi veneti” come questi complimenti non siano assolutamente richiesti ed adatti. Anche in alcuni dibattiti politici che ho partecipato in televisione, ho trovato una forte tendenza a interrompere e darmi del tu, in quanto giovane e donna, sentivo dagli altri la volontà di sentirsi in diritto di “spiegarmi come vivere”.

All’interno dell’apparato politico, nel partito in cui agivi: com’è stato essere giovane e donna? Hai avuto delle difficoltà o hai avuto un po’ più  di comprensione?

Ho trovato più accoglienza e apertura nel voler parlare di queste cose, però tante volte c’era anche del maschilismo involontario, animato dalle migliori intenzioni. Una cosa che mi ha stupito è che fossi una delle poche che usava esplicitamente il fatto di essere una donna, e di rappresentare questa identità come arma elettorale. Sarebbe bello che non dovessi far valere il mio genere per avere più consenso, ma finché viviamo in un mondo in cui le donne sono discriminate, altrimenti si rischia di non avere sufficiente rappresentanza in parlamento. 

Sono completamente d’accordo, ho visto anche molto questo problema con le recenti elezioni americane e la vittoria di Kamala Harris.  La mia personalissima opinione è che sono molto felice che una minoranza sia vicepresidente, è un grande passo che una donna sia riuscita ad occupare questa posizione, ma vuol dire che è perfetta? No! Non capisco molto il passaggio, io sopporto molto la sua identità, ma questo non vuol dire che sia esente da qualsiasi criticismo. Credo sia più importante avere una rappresentanza variegata in quanto a genere anche se non delle mie stesse idee politiche. Per esempio la Meloni in questi anni, ha portato avanti un esempio di donna che non mi fa impazzire, ma almeno diverso da una classica donna di sinistra sminuita perché brutta, o una donna salita al governo con Berlusconi, insultata perché t***a, oppure ancora di quella che viene insultata perchè rigida, o ancora degli esempi positivi come la Casellati, prima donna presidente del Senato, che vengono ignorati.

Secondo me la sfida sta anche nel cercare un modo di politica che non risponda a un certo tipo di paradigma agonistico che secondo me è profondamente maschile (non vorrei suonare accusatoria nei confronti del genere maschile). Secondo me nel misurarsi in una competizione elettorale sarebbe bello e ideale riuscire non a rincorrere l’aggressività, insultando l’avversario, un’accezione che abbiamo molto “maschia”. Un ideale che in un mondo ideale sarebbe bello riuscire non a rincorrere ma ad eliminare, sarebbe bello riuscire a vincere un’elezione ed essere eletta senza dovermi adattare a un certo tipo di modo di affrontare competizione elettore. Io penso che il buon risultato che ho fatto, anche se non è stato sufficiente ad eleggermi, sia dovuto al fatto che si è percepita la volontà di fare le cose in modo diverso, piû partecipativo e piu calmo, a tratti diverso.

Per fare un esempio sulla tossicità del dibattito politico, in generale quando non si vuole discutere di una questione, di solito perché non si hanno argomenti validi, poi ci si riduce al diversivo di ridurre la persona al corpo che è. Quindi nel caso italiano si finisce spesso a fare insulti di cattivo gusto come t***a e ridurre una persona ad un corpo la riduzione ad un corpo, soprattutto per quanto riguarda le donne.

È quasi impossibili vivere un’esperienza positiva se si appartiene a una categoria discriminabile, ed è una realtà con cui bisogna fare i conti per cambiare le cose

All’inizio della nostra conversazione io menzionava che saremmo stato molto eteronormative, ma del resto parlavamo con Rachele che la politica stessa è eteronormativa. Per esempio, quando si va a votare, non avete mai notato un piccolo dettaglio ?

Avviene la divisione in code di maschi e donne. Ed è una cosa che mi faceva notare giustamente il coordinamento LGBT di Treviso con cui ho voluto fare una chiacchierata a porte chiuse. Siamo finiti a parlare della preferenza di genere, ed io gli stavo raccontando quanto penso che il mio genere in realtà mi abbia favorita, perché un buon risultato come quello che ho avuto io è stato anche prodotto dal fatto che esistesse la preferenza di genere per la prima volta alle elezioni regionali. Preferenza di genere vuol dire l’obbligo di esprimere una preferenza diversa da quella maschile, quindi femminile ed anche qui in realtà non c’è un linguaggio inclusivo proprio a livello di legge. Cosa fa una persona che non si riconosce nei nello schema binario maschio o femmina? Non so se la legge che c’è al momento in Veneto è sufficiente dire che questo tipo di identità sia rispettata, tutelata e valorizzata all’interno della competizione elettorale. E quindi viviamo in un grosso paradosso in cui ci tocca sfruttare una cosa criticabile come la preferenza di genere femminile intanto per esserci, e poi per portare alla luce anche le altre identità che vengono dimenticate. Una cosa che appunto che mi piacerà in futuro fare e che spero di poter fare anche all’interno del partito in cui mi sono candidata (il Partito Democratico) è quella di chiedere un po’ più di attenzione su questi temi. Per esempio, prendiamo il DDL Zan: siamo tutti contenti che il DDL Zan sia stato approvato alla camera, ma ha dei problemi , come l’ignorare le identità non binarie o ha una definizione confusa di orientamento sessuale e tutte queste cose sono rilevanti. Anche se spesso ci tocca accontentarci di un po’ meno perché questo è quello che ogni tanto è necessario fare.

Semplicemente per il fatto che riguardo a queste politiche spesso si usa la tecnica del ignorare, del non riconoscere neanche l’esistenza della possibilità di una identità al di fuori di quella binaria. Quindi se non viene riconosciuta neanche l’esistenza perché legiferare a riguardo? Io mi metto nei panni delle povere persone che si trovano un seggio in questa situazione, cosa puoi fare se vai al seggio e sulla carta d’identità hai un genere diverso rispetto a quello con cui ti riconosci?

Certo, è un momento di grande sofferenza perché tantissime persone nel seggio non sono rappresentate all’interno di quella divisione donna-uomo. Al momento la coda la doppia fila al seggio maschi e femmine porta tantissime persone transessuali a subire misgendering (per misgendering si intende quando una persona non viene riconosciuto il suo cambiamento di sesso quindi può essere che per esempio una persona si ritrova ad andare al seggio con la carta identità con scritto uomo ma ha fatto la transizione ed è una donna). Una persona si puó ritrovare nella bruttissima situazione di dover dire vado a votare nella fila degli uomini pur non riconoscendomi in questo genere. O anche avere un documento d’identità in cui c’è un nome che non ti rispecchia, è una grande sofferenza.

Trovate i progetti, le proposte e l’esperienza di Rachele su Rachele Scarpa – Veneto 2020 su Facebook e i suoi fumetti sul profilo instagram @chele.png.

Scorretta la trovate su instagramtiktok e su tutte le piattaforme per podcast.

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Le fonti che abbiamo usato per questo episodio:

– Donne in politica. Piú quantità, ma troppo scarsa la rilevanza – Tortuga 

– Più donne in politica, ma senza grandi poteri – Giada Garofani– La Politica dell’Identità – Francesco Guala 

Understanding Kamala Harris, the Great Multiracial (Black) Hope – Dr. Shantel Gabrieal Buggs 

Women Candidates and the New Double Standard – Kylie Cheung  

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Per Approfondire:

– The Science Behind Hating Hillary’s voice (video)


– It was Hillary Clinton’s big moment, and all some pundits could talk about was her voice – Emily Crockett

– Real fry – Mark Libermann

– Hitting the Right Note for Success – Caitlin Fitzsimmons

– The End of Identity Liberalism – Mark Lilla

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cerco sempre di fornire fonti, spunti di approfondimento o idee in italiano, ma spesso il materiale che reperisco non è tradotto. questo fa’ parte del motivo per cui parliamo così poco di temi importanti: cambiamo le cose insieme, iniziamo conversazioni al riguardo!

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